Riserva della Biosfera "Somma-Vesuvio e Miglio d’Oro"

La Riserva della Biosfera "Somma-Vesuvio e Miglio d’Oro" è localizzata sulla fascia costiera della regione Campania, include il territorio compreso nel Parco nazionale del Vesuvio, istituito con Decreto Presidenziale del 5/06/1995, e la fascia costiera circostante, inclusa la città di Pompei e le sontuose ville vesuviane del sedicesimo e diciassettesimo secolo dislocate lungo il cosiddetto “Miglio d’Oro”, che da sole costituiscono un patrimonio architettonico di eccezionale valore.

La Riserva fu inserita nella rete delle riserve mondiali della Biosfera nell’ottobre del 1997 nella tipologia “cultural landscape”, che contraddistingue territori per la forza aggregante e permeante dell’elemento naturale nei confronti dei fenomeni di tipo religioso, artistico e culturale.

Regione biogeografia: Mediterranea
Divisione amministrativa: Regione Campania, Provincia di Napoli
Comuni: Boscoreale, Boscotrecase, Ercolano, Massa di Somma, Ottaviano, Pollena Trocchia, Pompei, Portici, Sant’Anastasia, San Giorgio a Cremano, San Giuseppe Vesuviano, San Sebastiano al Vesuvio, Somma Vesuviana, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase
Anno di designazione: 1997
Area: 13.550 ha
Popolazione: circa 600.000 ab

Dominata da un vulcano tuttora attivo, la Riserva racchiude una varietà di paesaggi ed ecosistemi che si è evoluta contestualmente al susseguirsi degli insediamenti umani, presenti sin dall’antichità. La posizione geografica, i suoli lavici ricchi di minerali e lo splendore dei luoghi hanno infatti attirato l’uomo già a partire da alcuni secoli dopo la nascita di Cristo, quando i Greci prima ed i Romani poi stabilirono le prime colonie alle falde del Vesuvio.

Questi insediamenti conosceranno fasi di incremento e decremento demografico in funzione dell’alternarsi delle fasi di attività e di quiescenza del vulcano. Le colonie romane stabilitesi tra Pompei, Ercolano, Stabia ed Oplonti abbandoneranno il Vesuvio in seguito alle catastrofiche eruzioni del 79 d.C. e del 472 d.C. Il vulcano rimarrà poco abitato fino ad alcune centinaia di anni dopo l’evento del 472, e tra il 1631 ed il 1944 gli insediamenti rimarranno sempre a debita distanza dal cratere per la persistente attività vulcanica. Dal dopoguerra inizierà, invece, una rapida crescita demografica alle falde del Vesuvio, in conseguenza dell’espansione della città di Napoli e del silenzio che il vulcano mostrerà dal 1944.

In questo contesto nascono, nel 1995, il Parco Nazionale del Vesuvio, e due anni dopo la Riserva MaB, a tutela di uno dei territori a più alto rischio vulcanico della Terra, la cui complessità presuppone un governo che vada oltre le finalità istitutive “tradizionali”, accettando la sfida di dover gestire un’area tra le più densamente abitate del nostro paese, con al suo interno un vulcano attivo tra i più pericolosi al mondo. Una vera e propria “isola” al c

entro di una delle più grandi città metropolitane italiane, che sta lentamente recuperando la sua straordinaria specificità, trasformando la percezione collettiva del complesso vulcanico identificato per lo più come un rischio, in straordinaria risorsa per la presenza di un patrimonio naturalistico, storico e culturale di inestimabile valore.

Il Somma–Vesuvio è il complesso vulcanico ancora attivo più importante dell'Europa continentale. Tipico esempio di strato-vulcano a recinto, formatosi dall’alternanza di eruzioni effusive e di eruzioni esplosive a forte impatto distruttivo, è situato nella Piana Campana, ed è costituito da due strutture morfologicamente ben distinguibili: la caldera del Somma ed il Gran Cono del Vesuvio.

La prima, di forma semicircolare, raggiunge la sua massima altezza con Punta Nasone (1132 m.s.l.m.), e rappresenta quello che resta dell’antico vulcano, la cui attività risale ad almeno 300.000 anni fa, mentre il Gran Cono del Vesuvio (1281 m.s.l.m), più volte distrutto e ricostruito nel corso delle eruzioni antiche e recenti, rientra in una vasta depressione, la Valle del Gigante, suddivisa in Atrio del Cavallo e Valle dell'Inferno, e rappresenta la parte interna residua dell'antica caldera. Il recinto del Somma è ben conservato per tutta la sua parte settentrionale e il suo orlo craterico è un susseguirsi di cime dette cognoli.

Il complesso si è formato dall’alternanza di eruzioni effusive, caratterizzate dalla messa in posto di lave e prodotti di caduta, e di eruzioni esplosive a forte impatto distruttivo (Pliniane), con emissione di grossi volumi di ceneri, lapilli e scorie, ed in particolare di colate piroclastiche (nubi ardenti ad altissima densità e temperatura), surge e base-surge (nubi a prevalente composizione di vapor d’acqua), lahar (colate di fango), emesse anche da bocche laterali ed eccentriche.

Aspetti Naturalistici

I due versanti, vesuviano e sommano, sono diversi dal punto di vista naturalistico, anche se in entrambi i casi i popolamenti vegetali risultano fortemente legati ai fenomeni eruttivi ed a una antica attività antropica che da sempre hanno interessato quest’area. Il primo è più arido, in parte riforestato per mitigare i fenomeni di tipo erosivo e franoso. Dove non sono

stati attuati interventi di forestazione, è possibile ammirare le tipiche successioni vegetazionali della macchia, a partire dalla iniziale colonizzazione dei suoli lavici vesuviani, che inizia ad opera dello Stereocaulon vesuvianum, un lichene coralliforme dal tipico aspetto grigio e filamentoso, che domina incontrastato soprattutto sulle colate laviche più recenti.

Ad esso si affiancano successivamente altre specie pioniere, tra cui la Valeriana rossa (Centranthus ruber), l’Elicriso (Helichrysum litoreum), l’Artemisia (Artemisia campestris). Le associazioni pioniere preparano il terreno per l’instaurarsi di estesi ginestreti, costituiti da Cytisus scoparius, Spartium junceum e Genista aetnensis, che imprimono un aspetto caratteristico ai versanti del Vesuvio, soprattutto in periodo primaverile durante le fioriture.

 

 

A questo proposito vale la pena di sottolineare che il territorio vesuviano offre la possibilità, di grande valore scientifico, di osservare l'evolversi della colonizzazione vegetale su colate laviche di diversa età.

Il versante sommano, caratterizzato da clima più umido e meno interessato da fenomeni eruttivi recenti, presenta invece ecosistemi più evoluti, con prevalenza di associazioni forestali mesofile. (foto 7) Fino a circa 900 metri s.l.m. domina il Castagno (Castanea sativa), mentre alle quote maggiori prevalgono i boschi misti di latifoglie, ricchi di sottobosco e costituiti, oltre che dal Castagno, da Roverella (Quercus pubescens), Carpino nero (Ostrya carpinifolia), Orniello (Fraxinus ornus), Ontano napoletano (Alnus glutinosa), varie specie di Acero (Acer spp.), resi più interessanti per la presenza di alcuni nuclei di Betulla (Betula pendula), testimonianza relitta di condizioni climatiche più umide e fredde di epoche passate.

Dove l’umidità è maggiore, alle specie arboree citate si affiancano anche i pioppi (Populus spp.) e varie specie di salici (Salix spp.). Il sottobosco è particolarmente ricco; tra le specie maggiormente diffuse il Pungitopo (Ruscus aculeatus), lo Smilace (Smilax aspera), il Biancospino (Crataegus monogyna), il Ligustro (Ligustrum vulgaris), numerose famiglie di felci.

La flora presente nel territorio della Riserva conta circa 700 entità, di cui 18 specie endemiche come la rara Silene giraldii e la Ginestra dell’Etna (Genista aetnensis), introdotta sul Vesuvio dopo l’eruzione del 1906. Il versante meridionale del vulcano è caratterizzato da boschi di Pino domestico (Pinus pinea), sottoposti, a partire degli anni ’90, ad opere di sfoltimento per lasciare spazio ad esemplari di Leccio (Quercus ilex).

La vegetazione mediterranea è rappresentata da Lentisco (Pistacia lentiscus), Mirto (Myrtus communis), Alloro (Laurus nobilis), Fillirea (Philllirea latifolia), Origano (Origanum vulgare) e Rosmarino (Rosmarinus officinalis). Interessante la presenza di 23 specie diverse di Orchidee selvatiche come Orchis papillonacea e Orphys sphegodes.

L’attività vulcanica del Somma prima e del Vesuvio in tempi più recenti, oltre a stravolgere ciclicamente la fisiografia del territorio e la sua copertura vegetale, condizionandone i naturali processi di colonizzazione ed evoluzione, ha fortemente influenzato anche le comunità faunistiche, protagoniste anch’esse di ripetute colonizzazioni.

Nonostante l’area della Riserva abbia le caratteristiche tipiche di un'isola biogeografica in un contesto antropizzato, la comunità faunistica è molto interessante; la presenza di ambienti naturali relittuali di limitata estensione, e la vicinanza della fascia costiera, fa assumere all’area importanza strategica per la sosta e rifugio della fauna migratoria, e garantisce la permanenza di specie legate a peculiari microhabitat, essenziali soprattutto per gli invertebrati.

In una recente ricerca sugli artropodi del Vesuvio sono state ritrovate 3 specie di coleotteri nuove per la scienza, 5 specie nuove per l’Italia, 25 specie nuove per l’Italia meridionale 44 nuove specie per la Campania. 20 specie di artropodi del Parco, infine, sono incluse in categorie IUCN. (foto 11)

Tra i vertebrati, gli anfibi presenti sono il Rospo smeraldino (Bufo viridis) (foto 12), e la Rana verde (Rana esculenta); il primo diffuso alle quote medio-basse laddove sono presenti piccoli biotopi umidi,la seconda molto localizzata in pozze o vasche artificiali. Tra i rettili, presenti con otto specie, si citano il Cervone (Elaphe quatuorlineata) ed il Saettone (Zamenis lineatus), entrambi molto rari.

La classe degli uccelli rappresenta sicuramente il taxon più rappresentato nel Parco con circa 150 specie censite, perché il complesso vulcanico, essendo posto lungo le rotte migratorie del Paleartico occidentale riveste una fondamentale importanza ed un sicuro riferimento per numerosi migratori che vi sostano durante i passi; tra questi il Falco di palude (Circus aeruginosus), il Grillaio (Falco naumanni), la Ghiandaia marina (Coracias garrulus), l'Averla capirossa (Lanius senator).
Alcune specie presenti sono inserite nell’allegato 1 della Direttiva Habitat: il Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), il Pellegrino (Falco peregrinus) (foto 13), il Succiacapre (Caprimulgus europaeus), il Picchio rosso minore (Dendrocopos minor), da poco scoperto sul versante sommano, il Codirossone (Monticola saxatilis), il Corvo imperiale (foto 14) (Corvus corax), quest’ultimo presente con due coppie sul vulcano.

I mammiferi sono presenti con 29 specie; tra i piccoli mammiferi sono da segnalare negli ambienti boscati il Ghiro (Glis glis), il Topo quercino (Eliomys quercinus), il Mustiolo (Suncus etruscus), il Moscardino ( foto 15) (Muscardinus avellanarius), la Crocidura minore (Crocidura suaveolens). Due le specie di lagomorfi presenti, il Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus), protagonista di cicliche espansioni demografiche, e la Lepre europea (Lepus europaeus). I predatori sono rappresentati dalla Volpe (foto 16) (Vulpes vulpes), diffusa in tutto il territorio vesuviano, la Faina (Martes foina), che predilige però gli ambienti forestali, e la Donnola (Mustela nivalis), comune soprattutto nel versante sommano.

Le numerose specie di chirotteri presenti sono inserite negli allegati della Direttiva “Habitat” e rappresentano quindi una vera emergenza conservazionistica, tanto che per la tutela dei pipistrelli vesuviani nell’area della Riserva sono stati designati due Siti di Importanza Comunitaria per la realizzazione della rete “Natura 2000”. (foto 17)

L’agrobiodiversità e l’artigianato

Al termine di ogni eruzione, la nuova crosta terrestre ha sempre subito la lenta ricolonizzazione della vegetazione, il nuovo insediamento della fauna, e anche dell'uomo, che ha sempre provato una grande attrazione per il Vesuvio, così pericoloso e al tempo stesso altrettanto ricco di risorse naturali. I terreni fertilissimi per l'alto contenuto in minerali, la mitezza del clima dovuta alla vicinanza del mare, la straordinaria varietà di paesaggi hanno determinato il susseguirsi di insediamenti che ha caratterizzato questo territorio sin dall'antichità. L’area pedemontana è ricca di vigneti, frutteti ed orti, i cui prodotti sono famosi in tutto il mondo.(foto 18)
L’immagine del Vesuvio è storicamente legata anche al paesaggio agrario, tra i più fertili del mondo; la selvicoltura delle quote più alte e le colture agrarie sulla fascia delle pendici e della pianura confinante (frutteti, in particolare albicoccheti, vigneti e orti vesuviani) hanno reso celebre questa terra.
L'agricoltura vesuviana, grazie al suolo lavico ricco di minerali, all'ottimo drenaggio e al clima mediterraneo, è da considerarsi unica per varietà di produzioni e per originalità di sapori. Per la frutta costituiscono prodotti tipici le albicocche e le ciliege. (foto 19)

Tra le circa quaranta biotipi di albicocche coltivate alle falde del Vesuvio le più conosciute sono la Pellecchiella, che è considerata la migliore per il suo gusto particolarmente dolce e per la compattezza della polpa, la Boccuccia liscia, di sapore agro dolce e la Boccuccia spinosa, così detta per la buccia meno liscia. Le ciliege, meno numerose, sono coltivate per lo più alle falde del Monte Somma; la coltivazione del ciliegio è concentrata soprattutto alle falde del Monte Somma dove è sicuramente presente, come tipologia colturale di rilievo, almeno sin dall'epoca della dominazione angioina. Tra le più famose ricordiamo la Ciliegia Malizia, con polpa rossa, consistente e dal gusto succoso e aromatico, e la Ciliegia del Monte che è considerata la migliore da tavola.
Altro prodotto tipico è il famoso pomodorino da serbo. E’ di piccole dimensioni, con una caratteristica punta alla base e ha un sapore dolce-acidulo. I pomodorini vengono raccolti acerbi in estate e conservati legati ad uno spago attorcigliato a cerchio; riposti in luoghi asciutti e lontano dai raggi del sole, maturano lentamente, conservando la polpa gustosa e succulenta, protetta dalla buccia che appassisce. I grappoli di pomodorini così raccolti sono detti piennoli. (foto 20)
Il complesso vulcanico del Somma-Vesuvio è, inoltre, fin dall’antichità famoso per la bontà dei suoi vini. Alle falde del vulcano sono coltivate l'uva Falanghina del Vesuvio, la Coda di Volpe (chiamata localmente Caprettone) e il Piedirosso del Vesuvio, dalle quali si ricava il famoso Lacryma Christi, un vino dall'odore particolare e dal sapore secco e aromatico. Un cenno particolare va fatto all'uva Catalanesca, ottima uva da tavola per la sua polpa carnosa e zuccherina, che si coltiva in piccole quantità per lo più alle falde del Monte Somma. (foto 21)

 

 

Anche l'artigianato vesuviano ha radici antiche e porta con sé le tracce di una attività gloriosa, al limite dell'arte, e che talvolta si è addirittura confusa con essa dando notevole impulso ad un vero e proprio artigianato artistico. Riconosciuto e apprezzato per la qualità della lavorazione e l'uso di materiali di pregio, l'artigianato vesuviano è frutto di tenace lavoro: coralli e cammei, pietra lavica, rame e metalli vari sono montati o incisi, scolpiti, forgiati da abili mani guidate da una sincera passione. (foto 22)

Le attività umane ed il patrimonio architettonico

La popolazione che insiste nell’area è di circa 600.000 persone, concentrata soprattutto nella transition zone. Dall’analisi della tipologia e del livello di specializzazione della struttura produttiva dei comuni dell’area, emerge una presenza significativa dei settori manifatturieri tradizionali accanto all’importante ruolo dei servizi e del commercio.

I settori industriali che caratterizzano l’area risultano in parte legati all’agricoltura (industria della trasformazione alimentare e trasporto) e concentrati nelle zone a maggiore vocazione agricola (a sud est del Vesuvio) e in parte al turismo (alberghi e servizi turistici in genere); tuttavia settori come il tessile – abbigliamento e quelli di nicchia, rappresentato dall’artigianato di trasformazione del corallo, hanno marcato in questi ultimi decenni un notevole tasso di sviluppo influenzando l’assetto socio – economico dell’area.

Tutta l’area vesuviana è caratterizzata dalla presenza di aree archeologiche di rilevanza internazionale (Pompei, Ercolano, Boscoreale) che fanno registrare annualmente un numero considerevole di presenze turistiche (Pompei-2.000.000, Ercolano-1.000.000 ed il Gran Cono 700.000), di un sistema di centri e nuclei storici, di “Ville”, di “Masserie” e di emergenze storico-architettoniche minori che ricoprono un elevato valore simbolico e rituale, in quanto elementi costitutivi dell’identità vesuviana. (Foto 23 e 24)

Molti segni del millenario e conflittuale rapporto tra gli abitanti ed il vulcano sono pervenuti fino a noi, raccontandoci di come gli uomini si siano adattati a questi luoghi, sfruttandone al meglio le risorse e le tipicità.

Sul versante del Monte Somma, dalla fascia pedemontana fino ai versanti medi, meno interessati dalle fasi eruttive, gli insediamenti hanno assunto connotazioni principalmente agricole e latifondistiche; sulle aree del Gran Cono e delle pendici alte del Vesuvio, più esposte agli effetti delle eruzioni, la presenza dell’uomo è rimasta per molto tempo estremamente limitata; infine lungo la fascia pedemontana del Vesuvio e sulla linea costiera, sicuramente maggiormente connesse con le grandi vie di comunicazione, marittime e terrestri, e fortemente legate alla capitale, lo sviluppo urbano e agricolo ha assunto un carattere più intensivo. Proprio sulla fascia costiera la violenta attività eruttiva del Vesuvio nel 79 d.C. ha provocato la distruzione delle città romane di Ercolano, Pompei, Oplonti, Stabia e con esse di tutti i villaggi e altri piccoli centri e ville distribuiti sul territorio, arrestandone il tempo ad un preciso giorno di oltre 2000 anni fa, e trasformandole nei siti archeologici fra i più importanti e visitati al mondo. (foto 25)

Ma la furia distruttiva del Vulcano non ha mai dissuaso ad abitare questi territori; ne è testimonianza l’importante villa Augustea, rinvenuta a Somma Vesuviana, e la villa con terme a Pollena Trocchia, databili al II secolo d.C. quindi a pochi anni di distanza dal gravissimo evento del 79 d.C. Una continuità abitativa che si traduce anche in una continuità culturale, come dimostrato dalle colture prevalenti ancora presenti, vigneti ed uliveti, dalle feste religiose, ancora oggi permeate dei culti dedicati a Dioniso e ad Apollo, ed ancora dagli spazi edificati, costruiti spesso sulle antiche rovine nascoste. Il territorio vesuviano in età romana era costellato di città, di ville rustiche e di ville urbane, così come oggi centri urbani, masserie e splendide ville nobiliari caratterizzano questi luoghi.

Proprio le ville rappresentano uno dei segni più importanti dell’area vesuviana. L’insieme delle “Ville Vesuviane” nacque sulla scia della costruzione a Portici, sul litorale vesuviano, della grande Villa di delizie voluta da re Carlo III di Borbone nel 1738. Lungo la strada che collegava la Reggia di Napoli con questa Reggia di Portici, furono costruite incantevoli ville di proprietà della più alta nobiltà partenopea. Per questo, la strada su cui questi edifici si affacciavano, fu soprannominata il “Miglio d’oro”. Tutte queste ville del Settecento ripetono in parte alcuni criteri costruttivi delle antiche ville romane: sulla strada i prospetti sono austeri ed introversi, mentre sul lato panoramico, aperto sul Vesuvio o sul mare a seconda che la Villa sorga a sinistra o a destra della strada, il prospetto si alleggerisce in terrazze, patii e loggiati con affacci su splendidi giardini cintati che creano un rapporto strettissimo fra le ville e lo spazio naturale. (foto 26 e foto 27)

Oggi le Ville vesuviane costituiscono un importante patrimonio architettonico dell’area vesuviana, e la loro inclusione nella Riserva contribuisce in modo determinante alla loro conservazione attraverso un uso complementare a quello destinato allo spazio naturale. In un’ottica di territorio culturale da aggregare al territorio naturale, quale complemento indispensabile per una tutela integrata, l’inserimento del patrimonio architettonico del settecento svolge una duplice funzione: conciliare gli aspetti di tutela dei valori ambientali e naturali con gli aspetti culturali ed architettonici, e utilizzare queste strutture per trovare in esse spazi architettonici per funzioni di appoggio alla Riserva, es. centri di ricerca, attrezzature recettive, e punto di partenza per eventuali itinerari naturalistico-ambientali. (Foto 28)

Nelle aree più interne, dove l’attività agricola era prevalente, il territorio si è costellato di piccoli borghi rurali, di torrette, di piccoli rifugi montani e di masserie, traduzione moderna delle antiche ville rustiche romane. Meno note delle Ville Vesuviane del ‘700, le masserie costituiscono una parte importantissima della civiltà contadina vesuviana, con caratteristiche del tutto autonome rispetto ad altri esempi campani, e di altissimo valore storico, architettonico, culturale ed ambientale.

Il termine "masseria", derivante etimologicamente dal latino mansus, ossia latifondo, indica un’azienda agricola complessa, formata da vari corpi di fabbrica con destinazioni diverse. Di proprietà degli ordini monastici o delle famiglie più agiate, le masserie, pur se con caratteristiche differenti tra l’area vesuviana e quella sommana, costituivano dei veri e propri microcosmi comprendenti gli alloggi padronali, quelli operai, le aree di trasformazione e di stoccaggio dei prodotti agricoli, le stalle, il forno, ed un complesso sistema di raccolta delle acque piovane in cisterne, indispensabile in un territorio, come quello vesuviano, dove l’acqua scarseggiava. Non mancava la cappella, che rappresentava un momento di aggregazione sociale non solo per gli abitanti locali ma per tutto il circondario.

L’elemento più importante delle masserie vesuviane era il cellaio, luogo della conservazione e della lavorazione del vino e dell'olio; a pianta rettangolare, coperto con volta a botte, poteva raggiungere dimensioni notevoli, dotate di particolari attrezzature per il trasporto delle botti, in alcuni casi ancora visibili. (foto 29)

Ma il passato agricolo dell’area vesuviana si riconosce anche in altre tipologie edilizie come le “Torrette”, presenti principalmente a monte dell’abitato di Somma Vesuviana e i piccoli rifugi montani, entrambi nati con il progredire dello sfruttamento agricolo anche delle zone più alte del Monte Somma o del Vesuvio. Erano luoghi di riparo per i contadini e di stoccaggio del raccolto della giornata prima del trasporto a valle, ed in particolare le “Torrette” erano edifici a due piani con sottotetto, posti in posizione dominante e panoramica, cui fu dato questo nome per la tecnica costruttiva antisismica adottata che conferiva loro una notevole robustezza, con angoli rinforzati da elementi arrotondati che le rendeva simili a piccole torri.

Destinati invece alla difesa del contado ed all’affermazione del potere feudale erano i Castelli, altro segno importante e caratterizzante di questo territorio. Restano ancora oggi il Palazzo Mediceo ad Ottaviano, il Castello d’Alagno a Somma Vesuviana, e il Castello Aragonese di Torre del Greco, oggi trasformato nel Palazzo di Città.

Palazzo Mediceo | Parco Nazionale del VesuvioIl Castello di Ottaviano, o Palazzo Mediceo di proprietà comunale ove ha sede l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, fu edificato poco prima dell’anno 1000, probabilmente sui resti della Villa romana di Ottaviano Augusto da cui prende il nome la città. Posseduto nei secoli da varie famiglie nobiliari, fu venduto, nel 1567, a Bernadetto de' Medici, del ramo cadetto della famosa famiglia di Firenze, e rimase di proprietà di questa famiglia fino al 1860. Nella seconda metà del ‘700 fu, come altri edifici della zona, completamente ristrutturato per assumere l’immagine di una villa vesuviana. (Foto 30)

Più recente è la storia del Castello d’Alagno, fatto costruire nel 1456 da Lucrezia d’Alagno, favorita di Alfonso d’Aragona, da cui ebbe in dono queste terre un tempo appartenute all’estinta famiglia Orsini. Dopo molti proprietari, questo castello fu ceduto nel 1691 alla famiglia de Curtis che lo trasformò in villa, com’era in uso in quei tempi.

Il castello d’Alagno sorge immediatamente fuori dalle mura del “Casamale”, centro antico della città di Somma Vesuviana, sviluppatosi intorno ai conventi dei Padri Eremitani di S.Agostino ed alla Chiesa di S. Maria Maggiore, nota come “Collegiata”. L’antico borgo conserva ancora parte della cinta muraria aragonese e dell’impianto medioevale, ricco di edifici nobiliari, di edifici religiosi, come il bellissimo convento delle Alcantarine, e di un’edilizia minore fortemente caratterizzata.

Su tutto il territorio vesuviano furono edificate piccole cappelle votive e chiese rurali, segni di devozione religiosa ma anche strumenti per esorcizzare la paura del Vesuvio. Alcune sono pervenute fino a noi come S. Maria a Castello a Somma Vesuviana e l’Eremo del Salvatore ad Ercolano, mentre di altre si conserva solo il ricordo nella toponomastica.
Diversamente i grandi complessi conventuali furono edificati principalmente nei centri urbani. Fa eccezione il Convento dei Camaldoli a Torre del Greco, costruito agli inizi del XVII secolo sul Colle vulcanico di Sant’Alfonso, in una zona dominante un tempo disabitata, che presto si trasformò in uno dei temi iconografici ricorrenti nelle gouaches del “Gran Tour d’Italie”.

A conclusione di questo rapido excursus sul patrimonio architettonico vesuviano, va menzionata la sede storica dell’Osservatorio Vesuviano. Questo importante centro studi, il più antico osservatorio vulcanologico del mondo, fu voluto dal re Ferdinando II di Borbone e fu realizzato in un elegante stile neodorico a partire dal 1841. Sorge sul Colle del Salvatore, sul lato ercolanese del Vesuvio, in una posizione particolarmente favorevole per monitorare il vulcano. Oggi è sede del museo della vulcanologia e conserva filmati, illustrazioni, collezioni di rocce e minerali, strumenti storici, libri e dipinti. (foto 31)

Adozione protocolli per la fruizione turistica del sentiero n° 5 del Parco Nazionale del Vesuvio (Cratere del Vesuvio) in recepimento delle norme vigenti per il contenimento dell'emergenza sanitaria da covid-19.

Si raccomanda di prestare massima prudenza e attenzione sui sentieri, di verificare sempre le condizioni meteorologiche e di calzare scarpe adeguate.

L’Ente Parco non ha competenze in materia di sicurezza e non è pertanto responsabile di eventuali danni a persone e cose che dovessero verificarsi durante le attività di fruizione del territorio del Parco.